mercoledì 16 giugno 2010

Sancta Sanctorum: "come dire la stessa cosa in altre parole" - tra vie europee e mediterraneo cristiano



Parte superiore di Giotto | Relato possibile alla Cappella degli Scrovegni sul tema del Cristo redento e redentore. Parte inferiore dubbio: Perugino e Michelangelo, plausibile anzi ora più che mai somigliante per lo stile l'impegno della confraternita del SS. Crocefisso. Un saggio dedicato all'Intercultura Cristiana.


Scena composta di due lati nella parte superiore – con due finestre a griglia in quella inferiore suddivisa in sette nicchie con poi le nicchie al centro delle quali c’è Maria con il bambino Jesù. Lo schema della scritta, invece, ripropone la Crocefissione Mond di Raffaello e la tavoletta più antica della Deposizione dell’Antelami, è qui riletta come motivo antecedente di 'configurazione visiva' delle due "città" con i rispettivi arcangeli come metafora topologica, nella parte superiore. Non so se è anche il tema della separazione tra caprette e pecore, la cosa però andrebbe resa independente salvo capire come mai qui è rovesciato probabilmente il sopra - con il tratto còlto di profilo potenzialmente da redimere (vedi il dono ex voto) di nuovo in una filosofia del diritto.
Sopra la sequenza di sette nicchie, una finestra strombata, violaporpora come la Bibbia a caratteri argentei (ricorderebbe sempre alcuni fondi del Mausoleo di Galla Placidia - mentre di recente sto osservando alcune cose del Duomo di Trento teodoriciano e non diviso come gli storici vorrebbero a causa di un solo campanile, semmai retoricamente ammissibile per parte - quale? certo bizantina, ravennate ma anche costitutiva, come nel San Pietro romano con le fondamenta vecchie). Il testo che costituisce il codice è credo redatto da Perugino (altre ipotesi guidano a Raffaello e a Michelangelo), tra le parole la fogliolina che ricorda il tipo della cappella Sistina che però, non abbiamo certezza alcuna che sia di Perugino, solo analogie pittoriche restituiscono lo sfondo tematico della 'cattura nell'orto degli ulivi'.
Un paesaggio di segni in stile II o forse III dell'invenzione del quadro (il testo) che si affaccia al tema cristiano per eccellenza della redentio.
Parte inferiore che si conclude con il palchetto e sotto l'altare.
C’è la possibilità che ci sia una disputa (visto che forse è Michelangelo quello figurato sulla scalinata della Scuola da Atene in veste di David (donatelliano – quello dello stiacciato per intendersi).
Il tema della Redenzione torna ad essere Mirabilia d'ambito civile - via di pellegrinaggio dal Mediterraneo alla GranBretagna (Magna Grecia e poi Romano Impero).

Il testo
NON . EST .| IN . TOTO .| SANCTIOR .| ORBE .| LOCVS

Può essere suddiviso in sette parole o cinque scomparti frastici, e in alessandrino (trascendente - se fosse stato in dieci poteva ricordare la scala a pioli). Si possono annotare, data la componente Nazarena a sinistra e Gerusalemita (il riferimento è parmense) a destra due condensazioni codificate a invertio: NON EST (ovvero ‘cardinale’, mentre mi fugge lo sguardo direttamente al deittico, per geografico, starebbe per il luogo effettivo rispetto a Gerusalemme). Con le parole IN (I calamo e aleph/nazareth) e la R (corona purpurea e fonte battesimale) di ORBE e la S di Sanctior si costruisce la dedica attraverso 'Raffaello Sanzio' che solitamente si firma Raphael (come l’arcangelo Raphael, mentre normalmente per i Nazareni starebbe l’arcangelo Gabriele) - è chiaro, penso, che c'è un per sempre vivente. Ovviamente IN e R ed S stanno anche e primariamente per 'Gesù Santissimo' a detta di qualcuno o di Gesù incoronato tra i santi.
Si potrebbe dire anche così: Il sancta sanctorum + a Ovest del Mondo - volendo indicare la linea di pellegrinaggio che va a o da Gereusalemme. Abbiamo, di recente, riscovato il libretto della gita  con la prof Leonardi dell'ISA Fortunato Depero (dove storia dell'arte è professionalizzante come al Liceo classico) che ci ha mostrato diversi oratori antichi romani tra cui l'Oratorio della confraternita del SS. Crocefisso e forse i manieristi sono i soli testimoni al tempo dell'evoluzione del contesto - anche socialmente che caratterizza questo oratorio e forse si spiega come gli intrecci tra famiglie, la relazione tra dalla Porta e Maffei e famiglia Borghese, non fosse che il tentativo di ribadire delle alleanze.
Il fatto ‘curioso’ e 'problematico' per cui ci siamo cimentati a più voci con la classe del ginnasio è dato dall’epigrafe, che non può essere trecentesca come la pittura sopra evidentemente giottesca in alcuni tratti ma arcaica nello sfumato (forse una Maestà di Giotto potrebbe ricordarne i modi pittorici e strutturali), anche nella figura del donatore cardinale o papa architetto della cappella oratoria e analogia diretta, direbbe Eco, con il DeVecchi architetto dell'oratorio del SS. Crocefisso, mostra un modo simbolico curioso: non è di profilo come per gli Scrovegni, notiamolo, ma in quello scorcio che sottolinea la rima spaziosa, che solo Giotto introduce così fedelemente all'enunciazione ci ricorda forse un pentimento, un pegno. Quindi ho provato l'asse immanente come puramente direzionale: una via di pellegrinaggio da Ovest, verso Ovest o il punto più a Ovest ricco di elementi, reliquie o forse invece lettori che anticipano la Novella, poi ricostruiscono le architetture, poi ritraducono la 'romanità' - indizi di trasposizioni certamente in una pluralità di spazi e di visioni. Lo spazio su cui è costituita questa serie sembra un palchetto, ecco perché delle finestre forse a ricordo bizantino, o raccordo, del Mausoleo di Galla Placidia, che Raffaello però poteva conoscere meglio.
    Scandendo la numerazione delle parole, le posizioni sarebbero costitutive di una ‘sorta di partitura’ che ricorda comunque la cornice testuale, già nella Cappella Sistina, che compone il testo epigrafico a cornice dello Sposalizio della Vergine del Perugino (Il Medioevo a cura di Umberto Eco, vol.12) - benchè potrebbe essere anche di Michelangelo se non chè qualche motivo cromatico ci riporta altrove, tra i colori dell'orto degli ulivi - ricordiamo, brevemente, che la volta dei dottori (chi redigeva i temi) che precede la Genesi di Michelangelo era del Perugino, potrebbe ben orientare la 'datazione' e dire a chi fosse rivolta – ma lo stile sembra comunque posteriore (all’affresco giottesco), più raffinato, mentre i colori tradiscono un ché di manierista, nel colore delle figure dei santi; ci ricorderebbe Pontormo, benché anche Michelangelo, privato di fondi, per trovare il lapislazuli o ricorse al furto artistico per un bene superiore, quasi un esproprio per giusta causa (che tuttavia farei fatica a riconoscere nelle grattature di Assisi) o si cimenta nell'oltre mare che gli è attribuito dai critici, giungendo quindi alle cromie manieriste e qui avremmo dovuto trovarlo. Invece nel negativo induce al tratto polemico (sebbene il Trionfo di Galatea, porta tracce porfiriane nei mantelli - appartengono anche al Pantheon questi colori) e lo vediamo di seguito (quelli del Perugino sono a caratteri dorati, su un fondo avorio-bianco che riveste una base verde olivo, ma la capitale 'rinascimentale' è quella - non ultimo il ricordo alla figura della Pace nel Buon Governo di Pietro Lorenzetti). Potrebbe, l'epigrafe, essere di Michelangelo stesso perché più longevo (potremmo chiedere l'analisi del fondo o produrla cercando delle screpolature naturali), e immagino che qualcuno possa averci visto nell’inversione di LOCVS nella seconda casella, o stazione, la posizione del Cenacolo di Leonardo, del femmineo, per quelle stesse ragioni, speculari enigmatiche per cui Avignone è la sua ultima collocazione, scismatica per qualche sguardo a mio avviso di indentificazione storica con quella minaccia imperiale alla soglia del ventennio; mentre potrebbe più semplicemente indicare il regolo frastico posizionale che indica Nazaret, per invertio, o per hypallage). Non sappiamo infatti se Leonardo usasse o meno un cartone, ne se lo avesse invertito, come accade talvolta, per finalità interpretative. Il rebus sarebbe intepretabile per l'uscita della Gerusalemme Liberata del Tasso.
    Solo qualche piccolo dettaglio resta davvero prossimo alla tipologia: la somiglianza con la Crocefissione Mond, di Raffaello - la finestra strombata del colore della bibbia purpurea (violacea con le scritte in negativo – argentate) che offrirebbe ovviamente elementi di datazione supplettivi da rispettare o inquadrare nel Concilio di Trento e di Bologna [1545-1563]. Intreccio figurale, delle nicchie di santi e delle scene degli eventi, diritto al testo e all'immagine, che per'altro non negherebbero l'ascendente giottesco per relazioni databili tra Roma e Firenze, nella cappella di Ogni Santi.
    Il dissidio polemico, nell’aspetto discorsivo, invece potrebbe nascere da un dettaglio: nell’art Dossier il Giudizio Finale presenta come ipotetica figura di arcangelo, quella di Michele, che suona infatti sulla soglia del purgatorio volgendosi ai dannati. Mentre stando ad una lettura più filologica non rappresenterebbe quella quadripartizione che culmina con i lunettoni e quindi gli angeli apteri che sollevano da un lato la croce e dell’altra la colonna della flagellazione, stando quindi di nuovo per le sue città. Ho immaginato di nuovo Raffaello rincorso, per le stesse ragioni per cui lui è sovrintendente e si dovrebbe occupare di Roma, che ormai conosciamo come rappresentata con il circolo delle ipotetiche mura - orbes/urbis. Così ho ricostruito un riferimento semplicemente mettendomi nei panni di un’opera: la Santa Cecilia di Raffaello, che per ipotesi mostra un organetto voltato in giù d’ottone mentre lei guarderebbe, o meglio si volge ascoltando, in cielo il coro di piccoli cantori. Strumenti rotti per terra, uno con una forma che quasi sembra contorta, preannunciando la 'cura', la 'salvezza' come diceva Valese (che permette la restituzione numerologica ricordandone la linearità) rappresentata quindi dalla croce in mano a Gesù (di nuovo hypallage per anticipazione), che confermerebbe questo nostro assunto: la redenzione del tema laico e cristiano assieme di quell'oratorio, quasi 'spazio scenico'.

A posteriori, dunque, recuperato il libricino - proviamo ad identificare i manieristi viventi all'epoca di Michelangelo: ci dice il sito web anche che "Nella semplice struttura ad aula unica, Giovanni De Vecchi, Niccolò Circignani, Cesare Nebbia, Baldassarre Croce e Paris Nogari misero in atto una delle pagine più felici della stagione del Manierismo, di grande impatto emotivo per la densità dei contenuti e la raffinatezza delle scelte compositive e cromatico luministiche".

    Sulla volta della cappella, a sostegno di ciò, della continuità della Maniera ellenistica parrebbe (se diamo ragione a Marco Bona Castellotti), c’è un mosaico dorato di scuola veneta, che potrebbe riprendere il tema dell’ascensione dallo stile musivo sull’asse Palermo-Venezia passando per quella delicata intersezione ‘italiana’ che è il Battistero di san Giovanni di Firenze, che intendevo cogliere già nel 2006-7, corpus di lezioni, come riflesso costituzionale del Romanico, che tuttavia è costituito a quattro livelli e a sei. Ovviamente non a tre. Uno sguardo perplesso, si direbbe, poiché come nelle installazioni di Emilio Vedova è proprio lo spazio dell’interazione a complessificare e sviluppare quei termini michelangioleschi che riconosciamo del Tondo Doni. Dove rileggere poi se non nel Tondo quell'asta o sima temporale, che nella Scuola di Atene è restituita con il solo gesto, all'orizzonte temporale, che reintroduce aristotelicamente la Repubblica platonica?
   Dov’è la chiave? Guardando la Santa Cecilia dietro ai santi di sinistra compare l’acquila imperiale con le zampe sulla Bibbia, segno forse della Riforma Tridentina ma pur dell'Impero Sacro Romano (poi triveneto per diverse ragioni bizantineggianti) e della sua Bibbia purpurea? Raccordo politico fiorentino? Ne è davvero la chiave? I comparti marmorei e le colonne dorate dopo i recenti restauri (1997) sembrano comunque reclamare una statura Rinascimentale.
    Forse è curioso e un po’ astruso vedere un dissidio, un cold case, in cui Michelangelo lascia le tracce nelle sue opere e in quelle di Raffello postume alla sua morte (anche se il cangiantismo nella Scuola di Atene ha fatto pensare ad un'opera trina - a tre mani con il corposo impianto architettonico di eccellenza bramantesca) – se ci pensiamo la figura di quel presunto ‘David’ sulle scale della Scuola di Atene, si raccorderebbe solo con un’emblematica restituzione consona alla romanizzazione della scultura, svolta da Michelangelo, in cui la lotta del bene contro il male di gotica memoria trova una sorta di scioglimento - una pietas che sembra trascendere il dato umanizzandosi: l’angelo/il santo contro il drago la materia o il David biblico, che difende la Repubblica, in epoca moderna. Paganizzazione dell'architettura e cristianizzazione della scultura - fontane ad intersezione mitologica delle origini: se infinito o meno - rovello per l'umanità che intercede nelle vie eterne tramite Cristo e Maria, i Santi e gli Angeli - mentre Michelangelo pensa ai Tritoni di Nettuno e Saturno gli mostra il peso della città romana.
    Ho pensato che le finestre, con le relative griglie, fossero per dei lettori, non come simulacri, come nella cappella degli Scrovegni. Temevo una tensione tra Raffaello e Michelangelo che si spiega con la ripresa del motivo peruginesco, ora su modello della palatina di Acquisgrana di Raffaello (Lo sposalizio della Vergine), disputa d'onore. Dopo circa un’ora e mezza di riflessione, un lavoro di traslitterazione figurativa fatta poi di nuovo a scuola sulla simmetria testo/immagine, con diverse prove riprese poi nella lezione successiva alla prima dagli studenti, su due cose almeno, che mettevano una griglia conoscitiva sull'oggetto da tradurre: tornano i riferimenti a Gerusalemme quali impliciti nella scansione letterale-frastica (Valese-io), la storicizzazione del testo che permetterebbe inversioni argute, data dal tipo di latino che la studentessa riconosce come tardo e andiamo a vedere reintrodotto forse dagli inglesi (papi) per certi aspetti (Mazzotti-io). La conclusione è stata una traduzione di questo tipo: “non c’è luogo più santo al mondo” (ripresa dal volume di Marco Bona Castellotti a cui dobbiamo l’inserimento nel cimento storico artistico e le annotazioni del restauro); l'unica eccedenza risultava di inversione iconica (schematica) e di cinque spazi tematicamente sull'architettura marcata dai santi, ma poi risaltavano così i luoghi, le nicchie degli eventi, dei pragmata: “non c’è luogo + santo al mondo” con criptato non è (forse) di Raffaello Sanzio, e IN IR, come per dire in questo luogo i reliquari (di cui per altro non sembra esservi vocazione alcuna nella tipologia e quindi non me lo spiegavo, eccetto che non fosse una dedica oratoria) effetto di una sovrapposizione, surdeterminazione di Michelangelo, che per il proprio nome, cambia in un certo senso la dinamica nominalistica dei luoghi, per avvalersi di un suo proprio? Lectio Magistralis di un artista (ma quale?) che rievoca la conoscenza come dizione, recitazione oratoria cui affidare il pensiero? (Mi scuso anticipatamente per vederci sempre lo zampino di una contesa, ma il nome di Raffaello, la sua stessa morte prematura, non sembrano eventi casuali, dinamiche di un amateur sprovveduto, come diceva anni fa il resoconto storico, benché tutti conosciamo i ritratti della amata Farnesina). Scsatemi la banalità certo può voler dire che il corpo di Cristo non è stato trovato e quini è eterno - senza la seconda I [INRI] che certificava la morte innaturale.
    Volevo trovare, mi ero promessa, la vera causa della scomparsa di Raffaello, ho persino pensato che l’ossesso rappresentato nella Trasfigurazione fosse una sfacciata ripresa di un Michelangelo poco più che bambino e causa della rivalsa tra i due, dello scherno possibile, la commedia divina. Insomma che i due avessero fatto combricola prima e poi litigato su questioni personali, mi sembrava un po’ eccessivo, salvo, l’idea che Raffaello avesse poi deciso che o Michelangelo era un genio o era davvero matto da legare (era noto che scacciava tutti gli aiuti perché non li riteneva adeguati per lo sforzo del cantiere del soffitto; ma un'artista che segue il suo talento come Michelangelo, non avrà concesso 'prestiti' che in rarissime occasioni, benché abbiamo trovato nel castel di Noarna nella Vallagarina in provincia di Trento, uno strano scalone con una volta stellata, forse dei primi aiuti), pagando il dubbio con la vita? Ma il genio è superiore alle dinamiche, questo in genere è il suo lato elucubratorio, trascende storicamente il fenomeno, per vedere come da sopra il labirinto, il dedalo. Che poi ci sia una partigianeria che lo vuole sensuoso adoratore del femmineo, imbrattandone a sua volta l’abito mentale, forse non è che terzo escluso, dalla vicenda storica: Leonardo misinterprato nuovamente? Certo Michelangelo si ritrae come san Bartolomeo e come un'invitato, tra i profeti. Mentre il codice, l'assolutezza forse data dalla spinta a riflettervi la potenza imperialista scismatica sembra il calco della tesi di Dan Brown su Leonardo: ma non capiamo ancora perché Leonardo cali così perfettamente nella figura dell'attesa, lui stesso, profeta delle scienze e delle arti più che ingegno sofistico a sé. E mentre a me piace più indagare il senso della luce, come giustezza, come insegna la scuola d'arte e semioticamente Fontanille, mi pare di cercare un'altro percorso da quello del filologo americano, pur sempre nei panni di una storica restituzione repubblichina e platonizzante, ma di equilibrato greco standard, di Aristotele. Quindi orbe/urbis, la città celeste si fonda come circolo, per certi versi, e come mirabilia strutturali dall'altra - civilissimamente e laicamente.
    Sappiamo infatti benissimo che Freud ne ha dette di tutti i colori sull'ego di Michelangelo, che i suoi contemporanei lo prendevano in giro, che gli storici si beffavano nello stile denigratorio che apotropaicamente il genio non si ripeta nelle imitazioni; poi che il puntinismo è stato riscoperto solo dopo i restauri e non può che essere martellina rivisitata in pittura; che le epigrafi di Michelangelo sono arte e non illustrazione invece ce lo dice il curatore della voce encilopedica Einaudi e possiamo avere i nostri dubbi, ma resta una considerazione sul merito che rintocca sull'elemento cercato - inquadrare nello stile IV la parte superiore ce lo rimette nella situazione del Giudizio Finale, segno di superamento e di concordia tra Israele e Palestina, della legge.
    Ora però, restava il perché di un epigrafe di Perugino stesa su bianco, che a sua volta copre un grigio ulivo lievissimo, se non per l'orto degli ulivi, se non per il sepolcro litico; quindi perché delle colonnine tortili che ricordano gli oratori siciliani sulla via della Palatina, e, poi, perché questa è su fondo nero se non come elemento di trapasso e resurrezione: gli unici riferimenti possibili sembrano essere il Battistero Ravennate degli ortodossi e la Crocefissione Mond di Raffaello. E qualche goelogo potrebbe dirci all'improvviso che i cieli di Raffaello e di Bellini sono vulcanici... insomma, quanti aspetti, quante mosse per indicare dei luoghi, dei sistemi, delle analogie! In ultimo solo invertendo locvs in lacos forse otteniamo la sensazione dell'enigmatico sepolcro... con la ruota della macina che scorre - ma è forse inversione per hypallage.
Ringraziamo Castellotti per aver presentato l'opera, con il tema del restauro sul manuale e di aver così invitato ad un esercizio di traduzione. Certo non tutto questo è stato svolto, solo alcune delle accezzioni potevano essere risolte; io ringrazio gli alunni per aver espanso il tema numerico di Gerusalemme e di aver 'sentito' il latino moderno come classicheggiante giustificando le inversioni tanto possibili e ormai necessarie al motivo architettonico.

Abbiamo avuto la cura di parlare di romanizzazione della scultura e di paganizzazione dei mirabilia, dell'architettura civile michelangiolesca, sulla scorta del testo di Lucia Nuti (Cartografie senza carte, Milano, Jaka Book, 2008) che riprende alcuni concetti che potremmo definire ormai semiotici nello spazio della città. Non ci sfugge che la traduzione, l'adattamento, siano i temi disponibili alla semiotica dell'arte e visiva. Così in questo guado di superficie, nel segno dell'aoristo, per certi versi, di una strana ecologia repubblicana del Rinascimento di ricerca, il tempo sembra essersi fermato sulla riscossa dei tre.

Una citazione stilistica necessaria - da
L'Oratorio dell'Arciconfraternita del Crocifisso - Roma (visita in gita scolastica)
 L’Oratorio del SS. Crocifisso fu costruito negli anni Sessanta del Cinquecento per ospitare le riunioni di una Confraternita, intitolata appunto al Crocifisso, approvata nel 1526 da Clemente VII e innalzata a dignità di Arciconfraternita nel 1563 da Pio IV. La confraternita era nata a ridosso di due eventi miracolosi aventi a protagonista un Crocifisso ligneo, custodito nella vicina chiesa di San Marcello e prodigiosamente risparmiato da un devastante incendio che aveva distrutto la chiesa nella notte tra il 22 e il 23 maggio 1519 imponendone la ricostruzione. Dopo questo primo episodio, durante una terribile pestilenza che afflisse la città nel 1522, fu organizzata una processione, ripetuta quotidianamente per sedici giorni e seguita da nobili, prelati e grande partecipazione di popolo, che accompagnò il Crocifisso dalla chiesa di San Marcello alla Basilica Vaticana e a seguito della quale la peste cessò. La compagnia del SS. Crocifisso nacque, pertanto, con l’intento di alimentare la devozione della Croce e fu connotata, come altre analoghe istituzioni del tempo, da un’organizzazione atta a soddisfare una serie di iniziative benefiche. L’edificio fu innalzato su progetto di Giacomo Della Porta tra il 1562 e il 1568 e decorato nei due decenni successivi con un impegnativo ciclo decorativo dedicato alla Confraternita e al suo oggetto di devozione celebrato attraverso episodi tratti dalla Leggenda della vera croce. Nella semplice struttura ad aula unica, Giovanni De Vecchi, Niccolò Circignani, Cesare Nebbia, Baldassarre Croce e Paris Nogari misero in atto una delle pagine più felici della stagione del Manierismo, di grande impatto emotivo per la densità dei contenuti e la raffinatezza delle scelte compositive e cromatico luministiche.