sabato 7 agosto 2010

estetica del vivere quotidiano speciale

...non so se è giusto giocarsi un commento prosaico - in poesia - varrebbe il frammento. Anna Chiavacci Leonardi (zia di secondo grado credo) insegna che il commento può essere un assaggio o un frammento del corpo di testo, allora, pensando è uno sguardo, a volte un'occhiata rapida e ripida, nella nebulosa fitta delle condensazioni possibili - poi alla questio aristotelica dell'essere nel mondo che si fa pura linea disegnata ma imprescindibile è sapere che non è veramente fissa: prototipo geometrico tra i più corretti, un'insieme di punti mobili - ne ho fatto un laboratorio in compresenza ma volevo farne uno in fotografia per andare diritti da un luogo al suo opposto - le shallowaters: dove vedi il fondale ed emerge la vita che c'è attorno alla costa - forse la nozione di periferia potrebbe sorprendere per somiglianza, così quella di frontiera, invece andrebbe recuperata in un contesto diverso come nel fumetto (è qui che ricordo il Vostro Tex del convegno roveretano - curiosamente e timidamente al solito - richiesto in Biblioteca) immaginavo la vista del Lago di Garda da Torbole, perché fin da piccola mi rizzava la pelle d'oca sulle braccia solo la vista - poi, come tex willer che squadra il foglio (Giulio Paolini, tipo) dal promontorio e già proporziona così in profondità che la sua descrizione etnografica si sintetizza in qualche sguardo, in un movimento del corpo, in una azione, come raccogliere da terra una traccia... ho inventato un laboratorio di narratività pensando a come partire e arrivare in una città o in un luogo paesistico - peripezie, difficoltà e colpi di scena, ricordi - ricongiungendo certi tratti di Eugenio Turri che ha scritto alcune cose degne di gusto enciclopediste: l'orizzonte, la nebbia è tutto, come a Twin Peaks (a San Francisco e anche li sono le mani a raccogliere il segno nell'orizzonte di qualcosa di filosofico del santo connesso alla città - concrezione fino alla smaterializzazione quasi, come le "onde nebbia" che travalicano il bordo collinare di Lomas Cantadas), fa parte della quinta scenica - ho usato i miei libri sulla città dell'ITC (ne ho alcuni più sociologici ma quelli dizionariali sono molto molto belli e completi, (arguti oserei dire) - è stato divertentissimo e Lisbon Story che ha l'indubbia mostruosità di mettere insieme mirabilia e itinerari riattualizzando Leonardo include la piuma davidiana egiziana e alla fine, lo sketch filmico sulla luna-sole dei Molière, a palinsesto.




Le studentesse ne hanno fatto un lavoro divertente - racconto-disegni-grafi - ho fatto una consegna indicando cosa dovrebbe contenere con una griglia valutativa soggiacente - avrei voluto che il lavoro l'anno successivo fosse messo su ppt o arrangiato... mah, tempo perso - la Preside mi giudica un'incapace, incongrunete illogica palla gonfiata...e taglia le ore di storia dell'arte, ovviously, nonostante la Gelmini abbia offerto tributo aggiungendo al pacchetto minimo, ben due ore... ma qui si sa, siamo bersagli politici, sfruttati per dare botte arlecchinesche...alla botte e al cerchio, e in più italo-inglese se c'era qualcuno da fucilare al muro, questa non potevo che essere io, no? e se fosse pulizia etnica - exempla omofoba! che pazzi - io sono convinta che 'gobbett' sia un nome di origine romana, è vero, anche se è strano nella radice inglese assomiglia a commento, frammento, pezzetto strappato, e gobetti allora? faccio ammenda - se ti puo interessare Lucia Nuti, Cartografie senza carte, ricordando il A gentil core reimpaira sempre amore del Guinizzelli come illustrazione della città armonica cortese - uno dei testi su cui ho lavorato anche per il paper Iasv di Venessia assieme a Boschini al classico nel mettere le dita, le mani nell'opera, lascia l'impronta del carattere, l'idiografia della sua personalità, lo script astratto del suo testo - illustra gli itinerari esperanti/operanti degli inglesi, i taccuini di disegni medievali da cui attinge persino il Realismo cristiano di un Delacroix e ho capito che l'architettura cosiddetta vittoriana risale all'epoca paleocristiana da lì - dalla domus fuori portaa di Roma. Bé non mi dispiace pensare che c'è un Europa cristiana che non potrà essere cancellata dall'odio o dal fanatismo algebrico aniconico e non mi importa se non vorranno scegliere la strada dell'integrazione privilegiando forme di pulizia che altro non sono che mosse turche, non importa sparire dall'orizzonte...se poi si riappare, magari altrove, salvati, curati dal non senso accidentale, è già importante essere, esserci stati e aver fatto e dato con il cuore, per chi sa pensare con questo, nonostante nessuno avrebbe dato nemmeno cinque centesmi per la mia vita intera...

domenica 11 luglio 2010

Concorso Internazionale di Composizione "strumenti di pace" - II edizione - concerto RAI - Rovererto - colle Miravalle

_Un sentimento del rintocco paesistico è quasi richiamo all'insegna dell'anima di Cavalcanti e citato da Calvino è 'memoria', con le sue penne sbigottite. Così ad aver vinto quest'anno nel Concorso Internazionale di Composizione "strumenti di pace" sotto la direzione di Daniel Kawka con la presenza del baritono Christian Miedl è il concerto di Andrea Portera.
   A stare a sentire, come litiganti che si accordano solo sui passaggi di parola improvvisi - anzi nemmeno tanto nascostamente sovrapponibili - sul limite di una danza rapidissima, intensa ricerca di verità nascoste da ridire con altri strumenti, altre parole. Paradossalmente l'arte che corriponde a questo moto dello spirito è proprio quella boccioninana futurista - Gli stati d'animo  o altrove potrebbe ricordare Stanton Mac Donald-Wright o un Jean René Bazaine e perché non un modo di riformalizzare la questione come sotto il gusto pittorico di Carla Accardi, dove sono i ritmi cautamente simmetrici a sfaldare omogeneità assolutistiche mostrando qualcosa di più profondo - paesaggi soggettivi. Quasi sembra che non ci sia che questo frenetico assalto, rimbrotto, con verifiche immediate, smentite autorevoli di un fagotto rispetto a qualche sibilante, nel mucchio dei violini.
    Il concerto è sintomatico, ancora pungente e sensibile. Solo il passaggio del testimone dal trittico di Portera, acclamato all'unanimità ci dice il gentilissimo Morricone che ricorda come i conti dovrebbero tornare se le regole sono giuste nei concorsi e mette il punto sull'esattezza delle menzioni invece che sull'omertà sempre più distratta, spiccatamente delittuosa talvolta e non è il solo a richiamare questo senso, questo aspetto della musica, ma ecco che l'annuncio non stona per simposio di testi, forme dello spirito direbbe Focillon: "...tre forme dell'infinito informe..." con il suo titolo eloquentemente post-bellico dedito alla sfumatura pittorica e luministica della musica per film - per paesaggio, questa volta di Morricone, un Bene sopra le parti: Jerusalem in cui si è commossi per la sensazione di visitare la città come attraverso una luce diafana del mattino, raffrescato da una pioggia appena raccolta.
Il finale espone i movimenti, ricorda i contrappunti romantici pur stando altrove con uno Schubert più intimistico: suggerisce di scegliere cosa fare nei prossimi anni, come ridurre la tragedia, come aspirare a qualcosa di più sacro che il bagno di sangue delle guerre cinico e dispersivo colpo a doppio taglio.

JOHANNES BRAHMS Ouverture "Tragica"
ANDREA PORTERA ...tre forme dell'infinito informe...
ENNIO MORRICONE Jerusalem
FRANZ SCHUBERT Sinfonia "Tragica"

Tania L. Gobbett | commissione 'giornata della memoria' e 'pace e solidarietà negli anni scorsi da cui questo blog'

sabato 3 luglio 2010

> con il sindacato cisl ci siamo appellati all'art.21, 1 e ex 38 e 111 della Costituzione sapendo di dialogare con le Istituzioni

... nonostante la prepotenza vinca sempre sull'etica
... la competizione sulla lealtà
... l'arroganza sul diritto

... questa è una democrazia costituzionale basata su valori professionali e di tutela della professionalità
... non sulla macelleria e l'esclusione dalla formazione lavoro e dal tirocinio


Dedicato a tutti i docenti senza verità, senza onore, senza patria espropriati e spoliati di tutto, persino dle diritto di parola e di giustizia, fatte salve solo qualche opera materiale, la ricerca svolta con continuità, le idee, il resto, il lavoro, l'ideazione costitutiva, le soluzioni sono tutte senza nome...


ANCH'IO SOSTENGO AMNESTY INTERNATIONAL

mercoledì 16 giugno 2010

Sancta Sanctorum: "come dire la stessa cosa in altre parole" - tra vie europee e mediterraneo cristiano



Parte superiore di Giotto | Relato possibile alla Cappella degli Scrovegni sul tema del Cristo redento e redentore. Parte inferiore dubbio: Perugino e Michelangelo, plausibile anzi ora più che mai somigliante per lo stile l'impegno della confraternita del SS. Crocefisso. Un saggio dedicato all'Intercultura Cristiana.


Scena composta di due lati nella parte superiore – con due finestre a griglia in quella inferiore suddivisa in sette nicchie con poi le nicchie al centro delle quali c’è Maria con il bambino Jesù. Lo schema della scritta, invece, ripropone la Crocefissione Mond di Raffaello e la tavoletta più antica della Deposizione dell’Antelami, è qui riletta come motivo antecedente di 'configurazione visiva' delle due "città" con i rispettivi arcangeli come metafora topologica, nella parte superiore. Non so se è anche il tema della separazione tra caprette e pecore, la cosa però andrebbe resa independente salvo capire come mai qui è rovesciato probabilmente il sopra - con il tratto còlto di profilo potenzialmente da redimere (vedi il dono ex voto) di nuovo in una filosofia del diritto.
Sopra la sequenza di sette nicchie, una finestra strombata, violaporpora come la Bibbia a caratteri argentei (ricorderebbe sempre alcuni fondi del Mausoleo di Galla Placidia - mentre di recente sto osservando alcune cose del Duomo di Trento teodoriciano e non diviso come gli storici vorrebbero a causa di un solo campanile, semmai retoricamente ammissibile per parte - quale? certo bizantina, ravennate ma anche costitutiva, come nel San Pietro romano con le fondamenta vecchie). Il testo che costituisce il codice è credo redatto da Perugino (altre ipotesi guidano a Raffaello e a Michelangelo), tra le parole la fogliolina che ricorda il tipo della cappella Sistina che però, non abbiamo certezza alcuna che sia di Perugino, solo analogie pittoriche restituiscono lo sfondo tematico della 'cattura nell'orto degli ulivi'.
Un paesaggio di segni in stile II o forse III dell'invenzione del quadro (il testo) che si affaccia al tema cristiano per eccellenza della redentio.
Parte inferiore che si conclude con il palchetto e sotto l'altare.
C’è la possibilità che ci sia una disputa (visto che forse è Michelangelo quello figurato sulla scalinata della Scuola da Atene in veste di David (donatelliano – quello dello stiacciato per intendersi).
Il tema della Redenzione torna ad essere Mirabilia d'ambito civile - via di pellegrinaggio dal Mediterraneo alla GranBretagna (Magna Grecia e poi Romano Impero).

Il testo
NON . EST .| IN . TOTO .| SANCTIOR .| ORBE .| LOCVS

Può essere suddiviso in sette parole o cinque scomparti frastici, e in alessandrino (trascendente - se fosse stato in dieci poteva ricordare la scala a pioli). Si possono annotare, data la componente Nazarena a sinistra e Gerusalemita (il riferimento è parmense) a destra due condensazioni codificate a invertio: NON EST (ovvero ‘cardinale’, mentre mi fugge lo sguardo direttamente al deittico, per geografico, starebbe per il luogo effettivo rispetto a Gerusalemme). Con le parole IN (I calamo e aleph/nazareth) e la R (corona purpurea e fonte battesimale) di ORBE e la S di Sanctior si costruisce la dedica attraverso 'Raffaello Sanzio' che solitamente si firma Raphael (come l’arcangelo Raphael, mentre normalmente per i Nazareni starebbe l’arcangelo Gabriele) - è chiaro, penso, che c'è un per sempre vivente. Ovviamente IN e R ed S stanno anche e primariamente per 'Gesù Santissimo' a detta di qualcuno o di Gesù incoronato tra i santi.
Si potrebbe dire anche così: Il sancta sanctorum + a Ovest del Mondo - volendo indicare la linea di pellegrinaggio che va a o da Gereusalemme. Abbiamo, di recente, riscovato il libretto della gita  con la prof Leonardi dell'ISA Fortunato Depero (dove storia dell'arte è professionalizzante come al Liceo classico) che ci ha mostrato diversi oratori antichi romani tra cui l'Oratorio della confraternita del SS. Crocefisso e forse i manieristi sono i soli testimoni al tempo dell'evoluzione del contesto - anche socialmente che caratterizza questo oratorio e forse si spiega come gli intrecci tra famiglie, la relazione tra dalla Porta e Maffei e famiglia Borghese, non fosse che il tentativo di ribadire delle alleanze.
Il fatto ‘curioso’ e 'problematico' per cui ci siamo cimentati a più voci con la classe del ginnasio è dato dall’epigrafe, che non può essere trecentesca come la pittura sopra evidentemente giottesca in alcuni tratti ma arcaica nello sfumato (forse una Maestà di Giotto potrebbe ricordarne i modi pittorici e strutturali), anche nella figura del donatore cardinale o papa architetto della cappella oratoria e analogia diretta, direbbe Eco, con il DeVecchi architetto dell'oratorio del SS. Crocefisso, mostra un modo simbolico curioso: non è di profilo come per gli Scrovegni, notiamolo, ma in quello scorcio che sottolinea la rima spaziosa, che solo Giotto introduce così fedelemente all'enunciazione ci ricorda forse un pentimento, un pegno. Quindi ho provato l'asse immanente come puramente direzionale: una via di pellegrinaggio da Ovest, verso Ovest o il punto più a Ovest ricco di elementi, reliquie o forse invece lettori che anticipano la Novella, poi ricostruiscono le architetture, poi ritraducono la 'romanità' - indizi di trasposizioni certamente in una pluralità di spazi e di visioni. Lo spazio su cui è costituita questa serie sembra un palchetto, ecco perché delle finestre forse a ricordo bizantino, o raccordo, del Mausoleo di Galla Placidia, che Raffaello però poteva conoscere meglio.
    Scandendo la numerazione delle parole, le posizioni sarebbero costitutive di una ‘sorta di partitura’ che ricorda comunque la cornice testuale, già nella Cappella Sistina, che compone il testo epigrafico a cornice dello Sposalizio della Vergine del Perugino (Il Medioevo a cura di Umberto Eco, vol.12) - benchè potrebbe essere anche di Michelangelo se non chè qualche motivo cromatico ci riporta altrove, tra i colori dell'orto degli ulivi - ricordiamo, brevemente, che la volta dei dottori (chi redigeva i temi) che precede la Genesi di Michelangelo era del Perugino, potrebbe ben orientare la 'datazione' e dire a chi fosse rivolta – ma lo stile sembra comunque posteriore (all’affresco giottesco), più raffinato, mentre i colori tradiscono un ché di manierista, nel colore delle figure dei santi; ci ricorderebbe Pontormo, benché anche Michelangelo, privato di fondi, per trovare il lapislazuli o ricorse al furto artistico per un bene superiore, quasi un esproprio per giusta causa (che tuttavia farei fatica a riconoscere nelle grattature di Assisi) o si cimenta nell'oltre mare che gli è attribuito dai critici, giungendo quindi alle cromie manieriste e qui avremmo dovuto trovarlo. Invece nel negativo induce al tratto polemico (sebbene il Trionfo di Galatea, porta tracce porfiriane nei mantelli - appartengono anche al Pantheon questi colori) e lo vediamo di seguito (quelli del Perugino sono a caratteri dorati, su un fondo avorio-bianco che riveste una base verde olivo, ma la capitale 'rinascimentale' è quella - non ultimo il ricordo alla figura della Pace nel Buon Governo di Pietro Lorenzetti). Potrebbe, l'epigrafe, essere di Michelangelo stesso perché più longevo (potremmo chiedere l'analisi del fondo o produrla cercando delle screpolature naturali), e immagino che qualcuno possa averci visto nell’inversione di LOCVS nella seconda casella, o stazione, la posizione del Cenacolo di Leonardo, del femmineo, per quelle stesse ragioni, speculari enigmatiche per cui Avignone è la sua ultima collocazione, scismatica per qualche sguardo a mio avviso di indentificazione storica con quella minaccia imperiale alla soglia del ventennio; mentre potrebbe più semplicemente indicare il regolo frastico posizionale che indica Nazaret, per invertio, o per hypallage). Non sappiamo infatti se Leonardo usasse o meno un cartone, ne se lo avesse invertito, come accade talvolta, per finalità interpretative. Il rebus sarebbe intepretabile per l'uscita della Gerusalemme Liberata del Tasso.
    Solo qualche piccolo dettaglio resta davvero prossimo alla tipologia: la somiglianza con la Crocefissione Mond, di Raffaello - la finestra strombata del colore della bibbia purpurea (violacea con le scritte in negativo – argentate) che offrirebbe ovviamente elementi di datazione supplettivi da rispettare o inquadrare nel Concilio di Trento e di Bologna [1545-1563]. Intreccio figurale, delle nicchie di santi e delle scene degli eventi, diritto al testo e all'immagine, che per'altro non negherebbero l'ascendente giottesco per relazioni databili tra Roma e Firenze, nella cappella di Ogni Santi.
    Il dissidio polemico, nell’aspetto discorsivo, invece potrebbe nascere da un dettaglio: nell’art Dossier il Giudizio Finale presenta come ipotetica figura di arcangelo, quella di Michele, che suona infatti sulla soglia del purgatorio volgendosi ai dannati. Mentre stando ad una lettura più filologica non rappresenterebbe quella quadripartizione che culmina con i lunettoni e quindi gli angeli apteri che sollevano da un lato la croce e dell’altra la colonna della flagellazione, stando quindi di nuovo per le sue città. Ho immaginato di nuovo Raffaello rincorso, per le stesse ragioni per cui lui è sovrintendente e si dovrebbe occupare di Roma, che ormai conosciamo come rappresentata con il circolo delle ipotetiche mura - orbes/urbis. Così ho ricostruito un riferimento semplicemente mettendomi nei panni di un’opera: la Santa Cecilia di Raffaello, che per ipotesi mostra un organetto voltato in giù d’ottone mentre lei guarderebbe, o meglio si volge ascoltando, in cielo il coro di piccoli cantori. Strumenti rotti per terra, uno con una forma che quasi sembra contorta, preannunciando la 'cura', la 'salvezza' come diceva Valese (che permette la restituzione numerologica ricordandone la linearità) rappresentata quindi dalla croce in mano a Gesù (di nuovo hypallage per anticipazione), che confermerebbe questo nostro assunto: la redenzione del tema laico e cristiano assieme di quell'oratorio, quasi 'spazio scenico'.

A posteriori, dunque, recuperato il libricino - proviamo ad identificare i manieristi viventi all'epoca di Michelangelo: ci dice il sito web anche che "Nella semplice struttura ad aula unica, Giovanni De Vecchi, Niccolò Circignani, Cesare Nebbia, Baldassarre Croce e Paris Nogari misero in atto una delle pagine più felici della stagione del Manierismo, di grande impatto emotivo per la densità dei contenuti e la raffinatezza delle scelte compositive e cromatico luministiche".

    Sulla volta della cappella, a sostegno di ciò, della continuità della Maniera ellenistica parrebbe (se diamo ragione a Marco Bona Castellotti), c’è un mosaico dorato di scuola veneta, che potrebbe riprendere il tema dell’ascensione dallo stile musivo sull’asse Palermo-Venezia passando per quella delicata intersezione ‘italiana’ che è il Battistero di san Giovanni di Firenze, che intendevo cogliere già nel 2006-7, corpus di lezioni, come riflesso costituzionale del Romanico, che tuttavia è costituito a quattro livelli e a sei. Ovviamente non a tre. Uno sguardo perplesso, si direbbe, poiché come nelle installazioni di Emilio Vedova è proprio lo spazio dell’interazione a complessificare e sviluppare quei termini michelangioleschi che riconosciamo del Tondo Doni. Dove rileggere poi se non nel Tondo quell'asta o sima temporale, che nella Scuola di Atene è restituita con il solo gesto, all'orizzonte temporale, che reintroduce aristotelicamente la Repubblica platonica?
   Dov’è la chiave? Guardando la Santa Cecilia dietro ai santi di sinistra compare l’acquila imperiale con le zampe sulla Bibbia, segno forse della Riforma Tridentina ma pur dell'Impero Sacro Romano (poi triveneto per diverse ragioni bizantineggianti) e della sua Bibbia purpurea? Raccordo politico fiorentino? Ne è davvero la chiave? I comparti marmorei e le colonne dorate dopo i recenti restauri (1997) sembrano comunque reclamare una statura Rinascimentale.
    Forse è curioso e un po’ astruso vedere un dissidio, un cold case, in cui Michelangelo lascia le tracce nelle sue opere e in quelle di Raffello postume alla sua morte (anche se il cangiantismo nella Scuola di Atene ha fatto pensare ad un'opera trina - a tre mani con il corposo impianto architettonico di eccellenza bramantesca) – se ci pensiamo la figura di quel presunto ‘David’ sulle scale della Scuola di Atene, si raccorderebbe solo con un’emblematica restituzione consona alla romanizzazione della scultura, svolta da Michelangelo, in cui la lotta del bene contro il male di gotica memoria trova una sorta di scioglimento - una pietas che sembra trascendere il dato umanizzandosi: l’angelo/il santo contro il drago la materia o il David biblico, che difende la Repubblica, in epoca moderna. Paganizzazione dell'architettura e cristianizzazione della scultura - fontane ad intersezione mitologica delle origini: se infinito o meno - rovello per l'umanità che intercede nelle vie eterne tramite Cristo e Maria, i Santi e gli Angeli - mentre Michelangelo pensa ai Tritoni di Nettuno e Saturno gli mostra il peso della città romana.
    Ho pensato che le finestre, con le relative griglie, fossero per dei lettori, non come simulacri, come nella cappella degli Scrovegni. Temevo una tensione tra Raffaello e Michelangelo che si spiega con la ripresa del motivo peruginesco, ora su modello della palatina di Acquisgrana di Raffaello (Lo sposalizio della Vergine), disputa d'onore. Dopo circa un’ora e mezza di riflessione, un lavoro di traslitterazione figurativa fatta poi di nuovo a scuola sulla simmetria testo/immagine, con diverse prove riprese poi nella lezione successiva alla prima dagli studenti, su due cose almeno, che mettevano una griglia conoscitiva sull'oggetto da tradurre: tornano i riferimenti a Gerusalemme quali impliciti nella scansione letterale-frastica (Valese-io), la storicizzazione del testo che permetterebbe inversioni argute, data dal tipo di latino che la studentessa riconosce come tardo e andiamo a vedere reintrodotto forse dagli inglesi (papi) per certi aspetti (Mazzotti-io). La conclusione è stata una traduzione di questo tipo: “non c’è luogo più santo al mondo” (ripresa dal volume di Marco Bona Castellotti a cui dobbiamo l’inserimento nel cimento storico artistico e le annotazioni del restauro); l'unica eccedenza risultava di inversione iconica (schematica) e di cinque spazi tematicamente sull'architettura marcata dai santi, ma poi risaltavano così i luoghi, le nicchie degli eventi, dei pragmata: “non c’è luogo + santo al mondo” con criptato non è (forse) di Raffaello Sanzio, e IN IR, come per dire in questo luogo i reliquari (di cui per altro non sembra esservi vocazione alcuna nella tipologia e quindi non me lo spiegavo, eccetto che non fosse una dedica oratoria) effetto di una sovrapposizione, surdeterminazione di Michelangelo, che per il proprio nome, cambia in un certo senso la dinamica nominalistica dei luoghi, per avvalersi di un suo proprio? Lectio Magistralis di un artista (ma quale?) che rievoca la conoscenza come dizione, recitazione oratoria cui affidare il pensiero? (Mi scuso anticipatamente per vederci sempre lo zampino di una contesa, ma il nome di Raffaello, la sua stessa morte prematura, non sembrano eventi casuali, dinamiche di un amateur sprovveduto, come diceva anni fa il resoconto storico, benché tutti conosciamo i ritratti della amata Farnesina). Scsatemi la banalità certo può voler dire che il corpo di Cristo non è stato trovato e quini è eterno - senza la seconda I [INRI] che certificava la morte innaturale.
    Volevo trovare, mi ero promessa, la vera causa della scomparsa di Raffaello, ho persino pensato che l’ossesso rappresentato nella Trasfigurazione fosse una sfacciata ripresa di un Michelangelo poco più che bambino e causa della rivalsa tra i due, dello scherno possibile, la commedia divina. Insomma che i due avessero fatto combricola prima e poi litigato su questioni personali, mi sembrava un po’ eccessivo, salvo, l’idea che Raffaello avesse poi deciso che o Michelangelo era un genio o era davvero matto da legare (era noto che scacciava tutti gli aiuti perché non li riteneva adeguati per lo sforzo del cantiere del soffitto; ma un'artista che segue il suo talento come Michelangelo, non avrà concesso 'prestiti' che in rarissime occasioni, benché abbiamo trovato nel castel di Noarna nella Vallagarina in provincia di Trento, uno strano scalone con una volta stellata, forse dei primi aiuti), pagando il dubbio con la vita? Ma il genio è superiore alle dinamiche, questo in genere è il suo lato elucubratorio, trascende storicamente il fenomeno, per vedere come da sopra il labirinto, il dedalo. Che poi ci sia una partigianeria che lo vuole sensuoso adoratore del femmineo, imbrattandone a sua volta l’abito mentale, forse non è che terzo escluso, dalla vicenda storica: Leonardo misinterprato nuovamente? Certo Michelangelo si ritrae come san Bartolomeo e come un'invitato, tra i profeti. Mentre il codice, l'assolutezza forse data dalla spinta a riflettervi la potenza imperialista scismatica sembra il calco della tesi di Dan Brown su Leonardo: ma non capiamo ancora perché Leonardo cali così perfettamente nella figura dell'attesa, lui stesso, profeta delle scienze e delle arti più che ingegno sofistico a sé. E mentre a me piace più indagare il senso della luce, come giustezza, come insegna la scuola d'arte e semioticamente Fontanille, mi pare di cercare un'altro percorso da quello del filologo americano, pur sempre nei panni di una storica restituzione repubblichina e platonizzante, ma di equilibrato greco standard, di Aristotele. Quindi orbe/urbis, la città celeste si fonda come circolo, per certi versi, e come mirabilia strutturali dall'altra - civilissimamente e laicamente.
    Sappiamo infatti benissimo che Freud ne ha dette di tutti i colori sull'ego di Michelangelo, che i suoi contemporanei lo prendevano in giro, che gli storici si beffavano nello stile denigratorio che apotropaicamente il genio non si ripeta nelle imitazioni; poi che il puntinismo è stato riscoperto solo dopo i restauri e non può che essere martellina rivisitata in pittura; che le epigrafi di Michelangelo sono arte e non illustrazione invece ce lo dice il curatore della voce encilopedica Einaudi e possiamo avere i nostri dubbi, ma resta una considerazione sul merito che rintocca sull'elemento cercato - inquadrare nello stile IV la parte superiore ce lo rimette nella situazione del Giudizio Finale, segno di superamento e di concordia tra Israele e Palestina, della legge.
    Ora però, restava il perché di un epigrafe di Perugino stesa su bianco, che a sua volta copre un grigio ulivo lievissimo, se non per l'orto degli ulivi, se non per il sepolcro litico; quindi perché delle colonnine tortili che ricordano gli oratori siciliani sulla via della Palatina, e, poi, perché questa è su fondo nero se non come elemento di trapasso e resurrezione: gli unici riferimenti possibili sembrano essere il Battistero Ravennate degli ortodossi e la Crocefissione Mond di Raffaello. E qualche goelogo potrebbe dirci all'improvviso che i cieli di Raffaello e di Bellini sono vulcanici... insomma, quanti aspetti, quante mosse per indicare dei luoghi, dei sistemi, delle analogie! In ultimo solo invertendo locvs in lacos forse otteniamo la sensazione dell'enigmatico sepolcro... con la ruota della macina che scorre - ma è forse inversione per hypallage.
Ringraziamo Castellotti per aver presentato l'opera, con il tema del restauro sul manuale e di aver così invitato ad un esercizio di traduzione. Certo non tutto questo è stato svolto, solo alcune delle accezzioni potevano essere risolte; io ringrazio gli alunni per aver espanso il tema numerico di Gerusalemme e di aver 'sentito' il latino moderno come classicheggiante giustificando le inversioni tanto possibili e ormai necessarie al motivo architettonico.

Abbiamo avuto la cura di parlare di romanizzazione della scultura e di paganizzazione dei mirabilia, dell'architettura civile michelangiolesca, sulla scorta del testo di Lucia Nuti (Cartografie senza carte, Milano, Jaka Book, 2008) che riprende alcuni concetti che potremmo definire ormai semiotici nello spazio della città. Non ci sfugge che la traduzione, l'adattamento, siano i temi disponibili alla semiotica dell'arte e visiva. Così in questo guado di superficie, nel segno dell'aoristo, per certi versi, di una strana ecologia repubblicana del Rinascimento di ricerca, il tempo sembra essersi fermato sulla riscossa dei tre.

Una citazione stilistica necessaria - da
L'Oratorio dell'Arciconfraternita del Crocifisso - Roma (visita in gita scolastica)
 L’Oratorio del SS. Crocifisso fu costruito negli anni Sessanta del Cinquecento per ospitare le riunioni di una Confraternita, intitolata appunto al Crocifisso, approvata nel 1526 da Clemente VII e innalzata a dignità di Arciconfraternita nel 1563 da Pio IV. La confraternita era nata a ridosso di due eventi miracolosi aventi a protagonista un Crocifisso ligneo, custodito nella vicina chiesa di San Marcello e prodigiosamente risparmiato da un devastante incendio che aveva distrutto la chiesa nella notte tra il 22 e il 23 maggio 1519 imponendone la ricostruzione. Dopo questo primo episodio, durante una terribile pestilenza che afflisse la città nel 1522, fu organizzata una processione, ripetuta quotidianamente per sedici giorni e seguita da nobili, prelati e grande partecipazione di popolo, che accompagnò il Crocifisso dalla chiesa di San Marcello alla Basilica Vaticana e a seguito della quale la peste cessò. La compagnia del SS. Crocifisso nacque, pertanto, con l’intento di alimentare la devozione della Croce e fu connotata, come altre analoghe istituzioni del tempo, da un’organizzazione atta a soddisfare una serie di iniziative benefiche. L’edificio fu innalzato su progetto di Giacomo Della Porta tra il 1562 e il 1568 e decorato nei due decenni successivi con un impegnativo ciclo decorativo dedicato alla Confraternita e al suo oggetto di devozione celebrato attraverso episodi tratti dalla Leggenda della vera croce. Nella semplice struttura ad aula unica, Giovanni De Vecchi, Niccolò Circignani, Cesare Nebbia, Baldassarre Croce e Paris Nogari misero in atto una delle pagine più felici della stagione del Manierismo, di grande impatto emotivo per la densità dei contenuti e la raffinatezza delle scelte compositive e cromatico luministiche.

sabato 16 gennaio 2010

news from beyond

è un blog di riflessione e di ricerca sperimentale - saranno pubblicati anche in via provvisoria interventi sul problema di come emancipare l'arte come discorso pacifico e civilista; la professione del semiologo e del restauratore potrebbe anche rivolgersi ad aspetti di prevenzione (e non solo a posteriori) secondo criteri di empiria, semplicità, analisi del discorso, ecologia.

giovedì 9 luglio 2009

] desacralizzare, come dicono i napoletani, porta male



Un dubbio a pensarci ce l'ho - ho consultato l'Atlante Geografico Internazionale del TCI e Lambach è sulla strada che da Vienna va a Linz per la Germania. Si pronuncia|Lembach|. L'etimologia storica del nome potrebbe ricordare il sacrificio degli agnelli e qualcuno ricorderà il Silenzio degli Innocenti con Hannibal il Cannibale tra le analogie - dovrebbe dire di più - comunque a pensarci il simbolo potrebbe ricordare anche una qualche trebbiatrice-mietitrice ma nel 1869 non ne esistevano, credo, almeno che non ce ne fossero di trainate da buoi; il font usato decorato con rilievo potrebbe anche essere stato ritoccato più recentemente - insomma credo che una cosa così confusa non l'ho mai vista. Mi resta il nome che ricorda l'allevamento delle pecore, degli agnelli, la lavorazione della lana.

L'unica cosa che trovo complicata in questa sorta di revisione fatta dal giornalista, è il fatto che qualcuno come Hitler ispirandosi a quel simbolo abbia poi potuto affidarsi ad una agenzia o ad un architetto, senza aggiungere qualcosa: ovvero tutto quello che lui ne ha fatto dopo, la dice lunga su come si possano deformare i significati dei simboli.

Resto dell'idea che il razzismo in ogni sua forma di qualunque paese, è una forma di banale psicosi da ignoranza - quando è grave andrebbe probabilmente preventivamente incarcerato chiunque istilli pubblicamente o privatamente al razzismo per finalità contrarie al principio biologico della varietà.
Se, detto questo, qualcuno fosse a conoscenza del motivo per cui abbiamo tre Pearl Harbour - una in Giappone, una a Est dell'Australia e una vicino all'Istmo di Panama e riesce a dirmi qualcosa di più sul problema delle somiglianze tra razze diverse tenendo conto anche della varietà aborigena e magari mi spiega se sia mai esistito un progetto razzista, a doppio legame anticomunista (anti-terrore) nei confronti dei popoli nipponici e aborigeni - facciamo prima così magari mandiamo un interrogazione perché venga legiferata una volta per tutte la causale avversa ad ogni azione contro l'umanità: induzione di psicosi da ignoranza biologica per i detrattori della varietà razziale umana - con richiesta di azione politica correttiva e informativa.

Non so se questa è una critica di superficialità o invece è un ringraziamento per aver condiviso in termini giornalistici il testo ritrovato - che il signor Vittorio Messori - a pag. 39 del Corriere della Sera di oggi dà al pubblico. Ho fatto un corso di Arte Rupestre/Rock Art durato due mesi proprio mentre mi stavo laureando in semiotica dell'arte con Paolo Fabbri, antropologo ed epistemologo, nell'estate del 2002, quindi cito con qualche fonte alla mano i testi a difesa di una critica ad un'intepretazione falsa circa lo stemma dell'abate Lambach che porterebbe, secondo questa fonte, una croce cosiddetta uncinata con ai quattro angoli le iniziali dell'abate Theoderic Hagn Abate di Lambach.

I testi: Emmanuel Anati, Les racines de la culture, Centro di studi camonici di arte rupestre, ed del centro, 1995; La religione delle origini, 1995 e 40.000 anni di arte contemporanea - Materiali per una esposizione sull'arte preistorica d'Europa; ce ne sarebbe uno su un evento comparativo mondiale ma l'ho prestato. Le sole armi citate sono coltelli e lance, in sud America, nella fattispecie in Colombia, per avere cose simili a quelle descritti dal giornalista, dovremmo parlare di uncini da pesca o di balestre adatte ad appigli fortificati, ma mi sembra che sia fuori dalla portata di una analogia spirituale, quanto dell'uso di tutti i giorni, per altro non credo precedente all'epoca del ferro - non so se in Sud America c'è un analogon dell'epoca del bronzo, invece dovrebbe esserci un periodo litico molto sviluppato, evoluto con l'estrazione di pietre che hanno assunto un valore sacro e simbolico assieme mentre dominano oro e argento - la scrittura è iconica e non mi pare di ricordare nei cartigli che ho visto armi del genere, benché l'uso di coltelli in pietra e in metallo sia diffuso anche in Val Camonica nell'epoca del ferro. Non c'è nulla del genere in Egitto: non ci sono muraglie - al massimo mi verrebbe dire dovrebbe andare a fare un giro in qualche museo della Mongolia - cercando tra le armi usate dal terribile Attila a cui forse il monastero è dedicato in memoria delle famosissime traversate montane, con tanto di elefanti. Essendo il monastero benedettino, come può ben capire anche per induzione, si trova in uno di quei processi sincretici che sono caratterizzati da una sorta di protezione catartica - non dissimile alle sacralizzazioni che hanno una destinazione eroica, di sopravvivenza di una cultura, come ne troviamo nella Spagna del sud, pitture su roccia. Qui il fondo rosso, potrebbe avere qualcosa di così antico? A me sembra di no - ricopre la classica lacca purpurea e non è nemmeno simile al bol (perché opaco e rosato leggermente), il colore rosso antico usato sotto le dorature, benché vi siano le iniziali dorate con finto rilievo, cosa che scagiona la scavata romana per certi aspetti e ne identifica un uso moderno - da cartiglio, con un carattere egizio si direbbe diffuso solo in epoca contemporanea. Forse è veramente un posticcio! per fanclub! - ma devo approfondire. L'uso della porpora invece è antichissimo e identifica il termine vita - come ben sanno gli studiosi di tutto il mondo anche per radici foniche.
Il tipico rilievo nello stemma, si discosta un po' dall'epigrafia romana e dalla capitale scavata, tanto da non far alludere ad un rombo, ad una lancia insomma, anche se la doratura potrebbe avere un valore rituale qui sembra essere prettamente decorativo, di cornice - tanto che si intona con l'idea di un timpano distrutto, monco. Se avesse guardato all'unico vero riferimento assimilabile, quello del bastone a ricciolo che invece è l'unico pastorale diffuso anche su pietra nei menhir del Portogallo e probabilmente anche in zone della penisola italiana, riconoscerebbe anche un significato forse entrato nella liturgia metrica del verso ma qui non vorrei forzare (la sticometria).

Dunque la sua interpretazione e quella di Hitler, sarebbe un falso: il monastero benedettino può essere un ex voto contro i vandali che usavano armi rotatorie e probabilemnte simili a balestre. L'altra interpretazione, quella del meandro, è precristiana, appartiene al protogeometrico-orientalizzante di origine greca, significa in genere la presenza di un meandro a gorgo, immagino che se ne voglia rintracciare un principio cosmogonico - il sole sorgendo a est e calando a ovest, in effetti potrebbe essere di interpretazione geometrico orientale come dicono gli studiosi, ma la colorazione gialla che ricorda l'oro, lo allontana dalle armi. Non mi risulta che i monaci benedettini, d'altra parte, fossero armati - ovvero che possedessero un arma. Potrebbe esserci stato un sacrario precedente a quello benedettino che ricordava il passaggio degli Unni e questo ci allontana dal principio della sua interpretazione per immergersi in una circostanziata e tribale.

Mi dispiace soprattutto che si voglia farne un segno che affonda le radici nella preistoria perché in realtà è il cerchio con all'interno la croce dell'orizzonte e del moto celeste ad avere quel carattere universale tanto più che le stelle mobili sembra percorrano la via opposta da ovest verso est (mercurio-venere per fare un esempio a febbraio sono a ovest, a luglio sono se non erro sopra la nostra testa), tanto che le bellissime costruzioni a Dolmen sono amate da tutti gli studiosi di storia dell'arte come di astronomia, oltre che di diritto e di economia - si tratta spesso di una sorta di fusione perché la croce cosiddetta greca con gli assi equivalenti è sempre semplice, mentre il cerchio designa comunanza, comunione.

Estrapolare quel segno è stato un arbitrio tra l'altro che ha gettato confusione ovunque sul significato dei simboli. Che fosse una idiosincrasia di Hitler forse fa comprendere la sua più grande misinterpretazione storica: si è trasformato nel vandalo conquistatore! Anche se facendoci credere di avere come nemici solo gli Ebrei, attualmente sto cercando di capire se la sua finalità si allargasse ai nipponici (quelli con gli occhi scuri a mandorla che troviamo dal sudamerica al giappone alla mongolia) tanto noti dalle leggende storiche di Attila che percorre l'Austria sopra la groppa di un elefante. Quello più temuto, persino dai Turchi. Se non la convince provi a guardarsi il film di Tarkovsky, Andrei Rublev forse il massimo regista contemporaneo che ha riconosciuto il tema delle icone come il tema filosofico e religioso più significativo dell'Europa e di tutte le grandi religioni - riprende il tema dei mongoli che fanno ancetta di villaggi nelle steppe della Siberia. Normalmente potrebbe anche essere epoca del ferro, ma cronologicamente quel tipo di lavorazione la troviamo nel tardo medioevo. A proposito dei nipponici, controllerei le false alleanze - magari anche Einstein è andato negli USA sotto ricatto, magari di qualche milione di persone, per fare la disastrosa bomba.

La cosa strana è l'impressione che mi fa il tutto - all'improvviso le certezze che avevo si sono diluite in un programma ancora più folle e rigido - ho persino pensato che la bomba atomica non fosse che l'ultima beffa di un mostro che ha pensato a tutto, anche a convertire il disegno di alleanze in una trappola sfruttando la fuga dei cervelli! Se ci si pensa la bomba atomica produce un effetto che sarà pure di 10 alla n potenza quello di una camera a gas con i suoi inceneritori! È persino orribile pensarlo - certo un nipponico non è ariano - ma Hitler e co - specialmente quelli dell'antropologia fisica - sono stati dei veri atroci assassini!!! La loro psicosi indotta ovunque ha sfruttato i crimini della schiavitù come leva ulteriore per uno sterminio programmato: un crimine contro l'intelligenza, la verità assoluta che tende a dimostrare con i suoi mezzi di essere dettato da povertà di spirito!!!

lunedì 29 dicembre 2008

] FUTURISMO e PACE

apettando le prime notizie sul termine Avanguardia gli studenti alla prova con l'esame di stato si staranno chiedendo se con la guerra ha a che fare molto il termine o ci sono altri aspetti dello sguardo futurista che occorre riversare per annotare considerazioni che possano sviluppare profiquamente concetti storico-culturali, strumenti altrimenti detti, per svolgere discussioni di poesia, metrica, filologia, etimologia e stratificazione sulla stregua del metodo umanistico filologico poetico, di layers di trasparenza/opacità che talvolta attraverso le modulazioni proprie, si lasciano attraversare dalla curiosità dle lettore che indaga, interroga, si costringe ad un atletico sguardo profondo.

Spazio permettendo saranno gettate alcune analogie

> tendenza
> semisimbolismo filosofico/religioso
> geografia inattesa
> molteplicità linguistica
> pluralità metodologica
> epistemologia critica ed estetica
> oggettivizzazione del soggetto nel progetto
> laboratorio compositivo
> il disegno è il significato
> trasversalità acustico/visiva del carattere
> ricerca scientifica basata sui principi

tenendo conto che queste modalità sono sincretiche ci aspetta un'accozzaglia, invece il risultato è spesso una buona forma, una battaglia trattenuta, semmai simbolica... un'infiammazione di poetiche dopo un indigestione. Quello che vorrei dire è che detto così non sembra molto bellico: dove sono le armi dei futuristi, negli slogan? dove gli emblemi? la costruzione dello spazio della pagina è equilibrato sulle risorse della denotazione, ma simbolica, linguistica. Dove sono le guerre dei futuristi? Nelle piazze? Certo come molti intellettuali e artisti anche questi nostri partecipano alla visione generale delle tendenze di governo, quà e là contraddetto da simmetriche disillusioni. Mi chiedo se 1909-2009 si possa scoprire qualche immedesimazione con principi sincretici meno propagandistici, che volgono alla sacralizzazione e alla ricerca storico culturale ogni sforzo: certo non è la pace intesa come noia, ennui, ma nemmeno un doppione di una ricetta strozzata e devastante come quella che si è messa in moto vent'anni dopo su tutt'altri fronti del gusto e del giudizio. Ho messo queste due giocose intitolazioni per riverne i termini nella speranza che l'archivio internazionale di rovereto rimetta al testa a posto e approfondisca le proprie direzioni di ricerca.